Sveva Sgroi
Cicero, Epistulae ad Familiares XIV, 14
Sveva Sgroi /
- Created on 2023-11-09 18:31:12
- Modified on 2023-11-09 18:48:30
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Dopo la sua vittoria in Gallia, Cesare costituiva una minaccia per le istituzioni oligarchiche a Roma. Gli venne chiesto di rinunciare al comando delle sue legioni prima di assumere il consolato, ma invece nel 49 a.C. attraversò illegalmente il fiume Rubicone con le sue truppe, avviando così una guerra civile con le forze senatorie rappresentate da Pompeo.
Nella lettera XIV, 14 delle "Epistulae ad familiares", Cicerone si rivolge alle donne della sua famiglia interrogandosi sulle decisioni da prendere riguardo alla presenza imminente di Cesare a Roma. Dovrebbero le donne restare a Roma, dove la situazione politica era incerta e instabile, oppure dovrebbero unirsi a Cicerone, che seguendo Pompeo aveva abbandonato l’Urbe? La lettera di Cicerone riflette il clima politico e l'incertezza del periodo, mostrando l'importanza delle decisioni personali in un momento di grande instabilità politica a Roma.
Latin
italiano
urn:cts:latinLit:phi0474.phi056.perseus-lat1:14.14
Scr . Menturnis viii K . Febr . a . 705 ( 49 ) .
TVLLIVS TERENTIAE ET PATER TVLLIAE , DVABVS ANIMIS SVIS , ET CICERO MATRI OPTIMAE , SVAVISSIMAE SORORI S . R D .
si vos valetis , nos valemus .
vestrum iam consilium est non solum meum quid sit vobis faciendum .
si ille Romam modeste venturus est , recte in praesentia domi esse potestis in homo amens diripiendam urbem daturus est , vereor ut Dolabella ipse satis nobis prodesse possit .
etiam illud metuo ne iam intercludamur , ut cum velitis exire non liceat .
reliquum est , quod ipsae optime considerabitis , vestri similes feminae sintne Romae ;
si enim non sunt , videndum est ut honeste vos esse possitis .
quo modo quidem nunc se res habet , modo ut haec nobis loca tenere liceat , bellissime vel mecum vel in nostris praediis esse poteritis .
etiam illud verendum est ne brevi tempore fames in urbe sit .
[ 2 ] his de rebus velim cum Pomponio , cum Camillo , cum quibus vobis videbitur , consideretis , ad summam animo forti sitis .
Labienus rem meliorem fecit ;
adiuvat etiam Piso , quod ab urbe discedit et sceleris condemnat generum suum .
vos , meae carissimae animae , quam saepissime ad me scribite et vos quid agatis et quid istic agatur .
Quintus pater et filius et Rufus vobis s . d . valete .
VIII K . Febr . Menturnis .
TVLLIVS TERENTIAE ET PATER TVLLIAE , DVABVS ANIMIS SVIS , ET CICERO MATRI OPTIMAE , SVAVISSIMAE SORORI S . R D .
si vos valetis , nos valemus .
vestrum iam consilium est non solum meum quid sit vobis faciendum .
si ille Romam modeste venturus est , recte in praesentia domi esse potestis in homo amens diripiendam urbem daturus est , vereor ut Dolabella ipse satis nobis prodesse possit .
etiam illud metuo ne iam intercludamur , ut cum velitis exire non liceat .
reliquum est , quod ipsae optime considerabitis , vestri similes feminae sintne Romae ;
si enim non sunt , videndum est ut honeste vos esse possitis .
quo modo quidem nunc se res habet , modo ut haec nobis loca tenere liceat , bellissime vel mecum vel in nostris praediis esse poteritis .
etiam illud verendum est ne brevi tempore fames in urbe sit .
[ 2 ] his de rebus velim cum Pomponio , cum Camillo , cum quibus vobis videbitur , consideretis , ad summam animo forti sitis .
Labienus rem meliorem fecit ;
adiuvat etiam Piso , quod ab urbe discedit et sceleris condemnat generum suum .
vos , meae carissimae animae , quam saepissime ad me scribite et vos quid agatis et quid istic agatur .
Quintus pater et filius et Rufus vobis s . d . valete .
VIII K . Febr . Menturnis .
(
XIV
,
14
)
Minturno
,
22
gennaio
705
(
49
)
TULLIO A TERENZIA , IL PADRE A TULLIA , LE SUE DUE ANIME CARE , CICERONE ALL’OTTIMA DELLE MADRI , ALLA CARISSIMA SORELLA .
Se voi state bene , noi stiamo bene .
Cosa voi dobbiate fare ora è una decisione vostra , e non solo mia .
Se Cesare è intenzionato a venire a Roma umilmente , potete sicuramente restare in patria per il momento ; ( se però ) ( quel ) folle uomo ha intenzione di consegnare la città affinché ( la ) si saccheggi , temo che persino Dolabella non possa esserci sufficientemente di aiuto .
Per di più temo che ad un certo momento le comunicazioni vengano interrotte ( lett . veniamo bloccati/tenuti lontano ) , affinché , quando voleste partire , non possiate ( più ) .
Resta l’opzione , che voi stesse considererete al meglio , ( di valutare ) se le donne simili a voi [ per ceto sociale ] non siano a Roma .
Se infatti non ( ce ne ) sono , è necessario vedere come voi possiate rimanere dignitosamente .
Del resto , per come stanno le cose adesso , purché ci sia consentito tenere questi luoghi , potrete stare benissimo o con me o con i nostri guadagni .
C ' è da temere anche ciò , che , fra poco , la fame arrivi in città .
Vorrei che vi riflettiate in proposito con Pomponio , con Camillo , con tutti quelli che vi sembri ( opportuno ) ; ( vorrei ) soprattutto ( che ) siate forti di spirito .
L’arrivo di Labieno ha migliorato la situazione ; anche Pisone ha aiutato perché abbandona la città ( e di conseguenza ) dichiara colpevole il proprio genero .
Voi , anime a me carissime , scrivetemi quanto più spesso ( è possibile ) ; ( ditemi ) quello che fate voi , quello che succede là .
Il padre Quinto , suo figlio e Rufo vi salutano . State bene .
22 gennaio ( otto giorni prima delle calende di febbraio ) , Minturno .
TULLIO A TERENZIA , IL PADRE A TULLIA , LE SUE DUE ANIME CARE , CICERONE ALL’OTTIMA DELLE MADRI , ALLA CARISSIMA SORELLA .
Se voi state bene , noi stiamo bene .
Cosa voi dobbiate fare ora è una decisione vostra , e non solo mia .
Se Cesare è intenzionato a venire a Roma umilmente , potete sicuramente restare in patria per il momento ; ( se però ) ( quel ) folle uomo ha intenzione di consegnare la città affinché ( la ) si saccheggi , temo che persino Dolabella non possa esserci sufficientemente di aiuto .
Per di più temo che ad un certo momento le comunicazioni vengano interrotte ( lett . veniamo bloccati/tenuti lontano ) , affinché , quando voleste partire , non possiate ( più ) .
Resta l’opzione , che voi stesse considererete al meglio , ( di valutare ) se le donne simili a voi [ per ceto sociale ] non siano a Roma .
Se infatti non ( ce ne ) sono , è necessario vedere come voi possiate rimanere dignitosamente .
Del resto , per come stanno le cose adesso , purché ci sia consentito tenere questi luoghi , potrete stare benissimo o con me o con i nostri guadagni .
C ' è da temere anche ciò , che , fra poco , la fame arrivi in città .
Vorrei che vi riflettiate in proposito con Pomponio , con Camillo , con tutti quelli che vi sembri ( opportuno ) ; ( vorrei ) soprattutto ( che ) siate forti di spirito .
L’arrivo di Labieno ha migliorato la situazione ; anche Pisone ha aiutato perché abbandona la città ( e di conseguenza ) dichiara colpevole il proprio genero .
Voi , anime a me carissime , scrivetemi quanto più spesso ( è possibile ) ; ( ditemi ) quello che fate voi , quello che succede là .
Il padre Quinto , suo figlio e Rufo vi salutano . State bene .
22 gennaio ( otto giorni prima delle calende di febbraio ) , Minturno .
Prometeo dona il fuoco agli uomini
Sveva Sgroi /
- Created on 2024-02-10 15:45:34
- Modified on 2024-02-10 17:02:51
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Ἑλληνική
italiano
italiano
ἅτε δὴ οὖν οὐ πάνυ τι σοφὸς ὢν ὁ Ἐπιμηθεὺς ἔλαθεν αὑτὸν καταναλώσας τὰς δυνάμεις εἰς τὰ ἄλογα · λοιπὸν δὴ ἀκόσμητον ἔτι αὐτῷ ἦν τὸ ἀνθρώπων γένος , καὶ ἠπόρει ὅτι χρήσαιτο . ἀποροῦντι δὲ αὐτῷ ἔρχεται Προμηθεὺς ἐπισκεψόμενος τὴν νομήν , καὶ ὁρᾷ τὰ μὲν ἄλλα ζῷα ἐμμελῶς πάντων ἔχοντα , τὸν δὲ ἄνθρωπον γυμνόν τε καὶ ἀνυπόδητον καὶ ἄστρωτον καὶ ἄοπλον · ἤδη δὲ καὶ ἡ εἱμαρμένη ἡμέρα παρῆν , ἐν ᾗ ἔδει καὶ ἄνθρωπον ἐξιέναι ἐκ γῆς εἰς φῶς . ἀπορίᾳ οὖν σχόμενος ὁ Προμηθεὺς ἥντινα σωτηρίαν τῷ ἀνθρώπῳ εὕροι , κλέπτει Ἡφαίστου καὶ Ἀθηνᾶς τὴν ἔντεχνον σοφίαν σὺν πυρί καὶ οὕτω δὴ δωρεῖται ἀνθρώπῳ .
Quindi Epimeteo , che non era molto saggio , lo ingannò consumando le forze sugli animali irrazionali . Di conseguenza , la razza umana era ancora senza ordine per lui e non sapeva cosa fare . Mentre era in difficoltà , Prometeo venne a ispezionare la distribuzione e vide che gli altri animali avevano tutto in modo appropriato , ma l’uomo era nudo , senza scarpe , senza copertura e senza armi . E già era arrivato il giorno destinato in cui anche l’uomo doveva emergere dalla terra alla luce . Quindi , in difficoltà su quale salvezza potesse trovare per l’uomo , Prometeo rubò l’arte di Efesto e Atena con il fuoco e così donò all’uomo .
Essendo Epimeteo non del tutto saggio ( trad . letterale : ἅτε - » nella misura in cui/poiché *… , οὐ - » non , πάνυ τι - » del tutto , σοφὸς - » saggio , ὢν - » essente , ὁ Ἐπιμηθεὺς - » Epimeteo ) non si accorse di aver consumato ( tutte , sott . ) le risorse con gli esseri senza parola ; ( ( a ) ἔλαθεν αὑτὸν ( b ) καταναλώσας : ( a ) ἔλαθεν αὑτὸν ( =λανθάνω : nascondo + ἑαυτὸν : se stesso ) : espressione ricorrente , per dire " nascose a se stesso " , ovvero " non si avvide " ; ( b ) καταναλώσας= participio 1 pers . sing . att . nomin . da καταναλίσκω : utilizzo , consumo )
Gli rimaneva ancora da sistemare il genere umano ( letteralm . , era ancora il genere degli uomini a lui restante ( λοιπὸν , lat : reliquus ) privo di ordine/collocazione ( ἀκόσμητον ) ) , e non sapeva cosa ( ὅτι ha qui valore interrogativo : " che cosa ? " e non relativo : " la qual cosa " o di preposizione dichiarativa : " che " ) avrebbe potuto utilizzare ( χρήσαιτο : 3^ pers . sing . aoristo ottat . da χράομαι , utilizzo ) .
Giunge presso di lui , che si trovava nel dubbio , Prometeo che voleva osservare ( ἐπισκεψόμενος : partic . futuro di ἐπισκέπτομαι ; il futuro ha qui valore di volizione , non di futuro : " che vuole osservare " ) la ripartizione ,
e vede da una parte tutte le creature opportunamente rifornite ( letter . , aventi adeguatamente di tutte le cose , ἐμμελῶς πάντων ἔχοντα ) , l’uomo dall’altra nudo e scalzo , senza coperte e senz’armi ;
Già il giorno designato giungeva ( παρῆν : 3^ pers . sing . imperf . di πάρειμι , essere presso ) , nel quale anche l’uomo doveva ( ἔδει : era necessario ; imperfetto di δεῖ : è necessario , verbo impersonale ) uscire ( ἐξιέναι ; infinito pres . di ἔξειμι : vado da , esco ) alla luce .
Dunque Prometeo chiedendosi ( ἀπορίᾳ σχόμενος : soffermandosi sul problema ; σχόμενος : part . medio aoristo di ἔχω ) quale ( ἥντινα , quale ? ) salvezza potesse trovare per l’uomo , ruba il sapere tecnico di Efesto e Atena assieme al fuoco – sarebbe stato impossibile ( ἀμήχανον : aggettivo con due sole desinenze , in ος e ον ) infatti che , senza il fuoco , quella ( αὐτὴν è riferito a sapienza ) fosse procurabile ( κτητήν deriva da κτάομαι : procuro , acquisto ) o ( ἢ ) utile a qualcuno ( τῳ è forma contratta per τινι ; da non confondere con τῷ , articolo ! ) – e così la dona all’uomo .
Gli rimaneva ancora da sistemare il genere umano ( letteralm . , era ancora il genere degli uomini a lui restante ( λοιπὸν , lat : reliquus ) privo di ordine/collocazione ( ἀκόσμητον ) ) , e non sapeva cosa ( ὅτι ha qui valore interrogativo : " che cosa ? " e non relativo : " la qual cosa " o di preposizione dichiarativa : " che " ) avrebbe potuto utilizzare ( χρήσαιτο : 3^ pers . sing . aoristo ottat . da χράομαι , utilizzo ) .
Giunge presso di lui , che si trovava nel dubbio , Prometeo che voleva osservare ( ἐπισκεψόμενος : partic . futuro di ἐπισκέπτομαι ; il futuro ha qui valore di volizione , non di futuro : " che vuole osservare " ) la ripartizione ,
e vede da una parte tutte le creature opportunamente rifornite ( letter . , aventi adeguatamente di tutte le cose , ἐμμελῶς πάντων ἔχοντα ) , l’uomo dall’altra nudo e scalzo , senza coperte e senz’armi ;
Già il giorno designato giungeva ( παρῆν : 3^ pers . sing . imperf . di πάρειμι , essere presso ) , nel quale anche l’uomo doveva ( ἔδει : era necessario ; imperfetto di δεῖ : è necessario , verbo impersonale ) uscire ( ἐξιέναι ; infinito pres . di ἔξειμι : vado da , esco ) alla luce .
Dunque Prometeo chiedendosi ( ἀπορίᾳ σχόμενος : soffermandosi sul problema ; σχόμενος : part . medio aoristo di ἔχω ) quale ( ἥντινα , quale ? ) salvezza potesse trovare per l’uomo , ruba il sapere tecnico di Efesto e Atena assieme al fuoco – sarebbe stato impossibile ( ἀμήχανον : aggettivo con due sole desinenze , in ος e ον ) infatti che , senza il fuoco , quella ( αὐτὴν è riferito a sapienza ) fosse procurabile ( κτητήν deriva da κτάομαι : procuro , acquisto ) o ( ἢ ) utile a qualcuno ( τῳ è forma contratta per τινι ; da non confondere con τῷ , articolo ! ) – e così la dona all’uomo .
Ovidio, Metamorfosi, Libro VI, vv. 531 - 670
Sveva Sgroi /
- Created on 2024-04-30 23:02:26
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Latin
italiano
http://data.perseus.org/texts/urn:cts:latinLit:phi0959.phi006
Mox ubi mens rediit , passos laniata capillos , lugenti similis , caesis plangore lacertis , intendens palmas " o diris barbare factis , o crudelis " ait " nec te mandata parentis cum lacrimis movere piis nec cura sororis nec mea virginitas nec coniugialia iura ! Omnia turbasti : paelex ego facta sororis , tu geminus coniunx , hostis mihi debita Procne .
Quin animam hanc , ne quod facinus tibi , perfide , restet , eripis ? atque utinam fecisses ante nefandos concubitus vacuas habuissem criminis umbras .
Si tamen haec superi cernunt , si numina divum sunt aliquid , si non perierunt omnia mecum , quandocumque mihi poenas dabis .
Ipsa pudore proiecto tua facta loquar .
Si copia detur , in populos veniam ; si silvis clausa tenebor , implebo silvas et conscia saxa movebo : audiet haec aether , et si deus ullus in illo est . "
Talibus ira feri postquam commota tyranni nec minor hac metus est , causa stimulatus utraque quo fuit accinctus , vagina liberat ensem arreptamque coma flexis post terga lacertis vincla pati cogit .
Iugulum Philomela parabat spemque suae mortis viso conceperat ense : ille indignantem et nomen patris usque vocantem luctantemque loqui comprensam forcipe linguam abstulit ense fero .
Radix micat ultima linguae , ipsa iacet terraeque tremens inmurmurat atrae ; utque salire solet mutilatae cauda colubrae , palpitat et moriens dominae vestigia quaerit .
Hoc quoque post facinus ( vix ausim credere ) fertur saepe sua lacerum repetisse libidine corpus .
Sustinet ad Procnen post talia facta reverti .
Coniuge quae viso germanam quaerit : at ille dat gemitus fictos commentaque funera narrat , et lacrimae fecere fidem .
Velamima Procne deripit ex umeris auro fulgentia lato induiturque atras vestes et inane sepulcrum constituit falsisque piacula manibus infert et luget non sic lugendae fata sororis . Signa deus bis sex acto lustraverat anno .
Quid faciat Philomela ? fugam custodia claudit , structa rigent solido stabulorum moenia saxo , os mutum facti caret indice .
Grande doloris ingenium est , miserisque venit sollertia rebus .
Stamina barbarica suspendit callida tela purpureasque notas filis intexuit albis , indicium sceleris ; perfectaque tradidit uni , utque ferat dominae gestu rogat : illa rogata pertulit ad Procnen , nec scit , quid tradat in illis .
Evolvit vestes saevi matrona tyranni fortunaeque suae carmen miserabile legit et ( mirum potuisse ) silet .
Dolor ora repressit , verbaque quaerenti satis indignantia linguae defuerunt ; nec flere vacat , sed fasque nefasque confusura ruit , poenaeque in imagine tota est .
Tempus erat , quo sacra solent trieterica Bacchi Sithoniae celebrare nurus : nox conscia sacris .
Nocte sonat Rhodope tinnitibus aeris acuti , nocte sua est egressa domo regina deique ritibus instruitur furialiaque accipit arma .
Vite caput tegitur , lateri cervina sinistro vellera dependent , umero levis incubat hasta .
Concita per silvas turba comitante suarum terribilis Procne furiisque agitata doloris , Bacche , tuas simulat .
Venit ad stabula avia tandem exululatque euhoeque sonat portasque refringit germanamque rapit ; raptaeque insignia Bacchi induit et vultus hederarum frondibus abdit attonitamque trahens intra sua moenia ducit .
Ut sensit tetigisse domum Philomela nefandam , horruit infelix totoque expalluit ore .
Nacta locum Procne sacrorum pignera demit oraque develat miserae pudibunda sororis amplexumque petit .
Sed non attollere contra sustinet haec oculos , paelex sibi visa sororis , deiectoque in humum vultu iurare volenti testarique deos , per vim sibi dedecus illud illatum , pro voce manus fuit . Ardet et iram non capit ipsa suam Procne ; fletumque sororis corripiens " non est lacrimis hoc " inquit " agendum , sed ferro , sed si quid habes , quod vincere ferrum possit .
In omne nefas ego me , germana , paravi .
Aut ego , cum facibus regalia tecta cremabo , artificem mediis inmittam Terea flammis , aut linguam , aut oculos et quae tibi membra pudorem abstulerunt , ferro rapiam , aut per vulnera mille sontem animam expellam . Magnum quodcumque paravi : quid sit , adhuc dubito . " Peragit dum talia Procne , ad matrem veniebat Itys .
Quid possit , ab illo admonita est : oculisque tuens inmitibus " a quam es similis patri " dixit . Nec plura locuta triste parat facinus tacitaque exaestuat ira .
Ut tamen accessit natus matrique salutem attulit et parvis adduxit colla lacertis mixtaque blanditiis puerilibus oscula iunxit , mota quidem est genetrix infractaque constitit ira invitique oculi lacrimis maduere coactis : sed simul ex nimia mentem pietate labare sensit , ab hoc iterum est ad vultus versa sororis inque vicem spectans ambos " cur admovet " inquit " alter blanditias , rapta silet altera lingua ? Quam vocat hic matrem , cur non vocat illa sororem ? Cui sis nupta , vide , Pandione nata , marito . Degeneras : scelus est pietas in coniuge Tereo . "
Nec mora , traxit Ityn , veluti Gangetica cervae lactentem fetum per silvas tigris opacas .
Utque domus altae partem tenuere remotam , tendentemque manus et iam sua fata videntem et " mater , mater " clamantem et colla petentem ense ferit Procne , lateri qua pectus adhaeret , nec vultum vertit .
Satis illi ad fata vel unum vulnus erat : iugulum ferro Philomela resolvit .
Vivaque adhuc animaeque aliquid retinentia membra dilaniant . Pars inde cavis exsultat aenis , pars veribus stridunt : manant penetralia tabo . His adhibet coniunx ignarum Terea mensis et patrii moris sacrum mentita , quod uni fas sit adire viro , comites famulosque removit .
Ipse sedens solio Tereus sublimis avito vescitur inque suam sua viscera congerit alvum . Tantaque nox animi est , " Ityn huc accersite " dixit . Dissimulare nequit crudelia gaudia Procne , iamque suae cupiens exsistere nuntia cladis , " intus habes , quem poscis " ait . Circumspicit ille atque ubi sit quaerit . Quaerenti iterumque vocanti , sicut erat sparsis furiali caede capillis , prosiluit Ityosque caput Philomela cruentum misit in ora patris : nec tempore maluit ullo posse loqui et mentis testari gaudia dictis .
Thracius ingenti mensas clamore repellit vipereasque ciet Stygia de valle sorores ; et modo , si posset reserato pectore diras egerere inde dapes inmersaque viscera gestit , flet modo seque vocat bustum miserabile nati , nunc sequitur nudo genitas Pandione ferro .
Corpora Cecropidum pennis pendere putares : pendebant pennis . Quarum petit altera silvas , altera tecta subit ; neque adhuc de pectore caedis excessere notae , signataque sanguine pluma est .
Quin animam hanc , ne quod facinus tibi , perfide , restet , eripis ? atque utinam fecisses ante nefandos concubitus vacuas habuissem criminis umbras .
Si tamen haec superi cernunt , si numina divum sunt aliquid , si non perierunt omnia mecum , quandocumque mihi poenas dabis .
Ipsa pudore proiecto tua facta loquar .
Si copia detur , in populos veniam ; si silvis clausa tenebor , implebo silvas et conscia saxa movebo : audiet haec aether , et si deus ullus in illo est . "
Talibus ira feri postquam commota tyranni nec minor hac metus est , causa stimulatus utraque quo fuit accinctus , vagina liberat ensem arreptamque coma flexis post terga lacertis vincla pati cogit .
Iugulum Philomela parabat spemque suae mortis viso conceperat ense : ille indignantem et nomen patris usque vocantem luctantemque loqui comprensam forcipe linguam abstulit ense fero .
Radix micat ultima linguae , ipsa iacet terraeque tremens inmurmurat atrae ; utque salire solet mutilatae cauda colubrae , palpitat et moriens dominae vestigia quaerit .
Hoc quoque post facinus ( vix ausim credere ) fertur saepe sua lacerum repetisse libidine corpus .
Sustinet ad Procnen post talia facta reverti .
Coniuge quae viso germanam quaerit : at ille dat gemitus fictos commentaque funera narrat , et lacrimae fecere fidem .
Velamima Procne deripit ex umeris auro fulgentia lato induiturque atras vestes et inane sepulcrum constituit falsisque piacula manibus infert et luget non sic lugendae fata sororis . Signa deus bis sex acto lustraverat anno .
Quid faciat Philomela ? fugam custodia claudit , structa rigent solido stabulorum moenia saxo , os mutum facti caret indice .
Grande doloris ingenium est , miserisque venit sollertia rebus .
Stamina barbarica suspendit callida tela purpureasque notas filis intexuit albis , indicium sceleris ; perfectaque tradidit uni , utque ferat dominae gestu rogat : illa rogata pertulit ad Procnen , nec scit , quid tradat in illis .
Evolvit vestes saevi matrona tyranni fortunaeque suae carmen miserabile legit et ( mirum potuisse ) silet .
Dolor ora repressit , verbaque quaerenti satis indignantia linguae defuerunt ; nec flere vacat , sed fasque nefasque confusura ruit , poenaeque in imagine tota est .
Tempus erat , quo sacra solent trieterica Bacchi Sithoniae celebrare nurus : nox conscia sacris .
Nocte sonat Rhodope tinnitibus aeris acuti , nocte sua est egressa domo regina deique ritibus instruitur furialiaque accipit arma .
Vite caput tegitur , lateri cervina sinistro vellera dependent , umero levis incubat hasta .
Concita per silvas turba comitante suarum terribilis Procne furiisque agitata doloris , Bacche , tuas simulat .
Venit ad stabula avia tandem exululatque euhoeque sonat portasque refringit germanamque rapit ; raptaeque insignia Bacchi induit et vultus hederarum frondibus abdit attonitamque trahens intra sua moenia ducit .
Ut sensit tetigisse domum Philomela nefandam , horruit infelix totoque expalluit ore .
Nacta locum Procne sacrorum pignera demit oraque develat miserae pudibunda sororis amplexumque petit .
Sed non attollere contra sustinet haec oculos , paelex sibi visa sororis , deiectoque in humum vultu iurare volenti testarique deos , per vim sibi dedecus illud illatum , pro voce manus fuit . Ardet et iram non capit ipsa suam Procne ; fletumque sororis corripiens " non est lacrimis hoc " inquit " agendum , sed ferro , sed si quid habes , quod vincere ferrum possit .
In omne nefas ego me , germana , paravi .
Aut ego , cum facibus regalia tecta cremabo , artificem mediis inmittam Terea flammis , aut linguam , aut oculos et quae tibi membra pudorem abstulerunt , ferro rapiam , aut per vulnera mille sontem animam expellam . Magnum quodcumque paravi : quid sit , adhuc dubito . " Peragit dum talia Procne , ad matrem veniebat Itys .
Quid possit , ab illo admonita est : oculisque tuens inmitibus " a quam es similis patri " dixit . Nec plura locuta triste parat facinus tacitaque exaestuat ira .
Ut tamen accessit natus matrique salutem attulit et parvis adduxit colla lacertis mixtaque blanditiis puerilibus oscula iunxit , mota quidem est genetrix infractaque constitit ira invitique oculi lacrimis maduere coactis : sed simul ex nimia mentem pietate labare sensit , ab hoc iterum est ad vultus versa sororis inque vicem spectans ambos " cur admovet " inquit " alter blanditias , rapta silet altera lingua ? Quam vocat hic matrem , cur non vocat illa sororem ? Cui sis nupta , vide , Pandione nata , marito . Degeneras : scelus est pietas in coniuge Tereo . "
Nec mora , traxit Ityn , veluti Gangetica cervae lactentem fetum per silvas tigris opacas .
Utque domus altae partem tenuere remotam , tendentemque manus et iam sua fata videntem et " mater , mater " clamantem et colla petentem ense ferit Procne , lateri qua pectus adhaeret , nec vultum vertit .
Satis illi ad fata vel unum vulnus erat : iugulum ferro Philomela resolvit .
Vivaque adhuc animaeque aliquid retinentia membra dilaniant . Pars inde cavis exsultat aenis , pars veribus stridunt : manant penetralia tabo . His adhibet coniunx ignarum Terea mensis et patrii moris sacrum mentita , quod uni fas sit adire viro , comites famulosque removit .
Ipse sedens solio Tereus sublimis avito vescitur inque suam sua viscera congerit alvum . Tantaque nox animi est , " Ityn huc accersite " dixit . Dissimulare nequit crudelia gaudia Procne , iamque suae cupiens exsistere nuntia cladis , " intus habes , quem poscis " ait . Circumspicit ille atque ubi sit quaerit . Quaerenti iterumque vocanti , sicut erat sparsis furiali caede capillis , prosiluit Ityosque caput Philomela cruentum misit in ora patris : nec tempore maluit ullo posse loqui et mentis testari gaudia dictis .
Thracius ingenti mensas clamore repellit vipereasque ciet Stygia de valle sorores ; et modo , si posset reserato pectore diras egerere inde dapes inmersaque viscera gestit , flet modo seque vocat bustum miserabile nati , nunc sequitur nudo genitas Pandione ferro .
Corpora Cecropidum pennis pendere putares : pendebant pennis . Quarum petit altera silvas , altera tecta subit ; neque adhuc de pectore caedis excessere notae , signataque sanguine pluma est .
Poi
,
quando
torna
in
sé
,
si
strappa
i
capelli
scomposti
,
come
se
fosse
in
lutto
,
si
percuote
in
lacrime
le
braccia
e
tendendo
le
mani
,
grida
:
«Barbaro
,
quale
infamia
hai
compiuto
!
Scellerato
!
neppure
le
preghiere
e
le
lacrime
appassionate
di
mio
padre
t
'
hanno
commosso
,
o
il
pensiero
di
mia
sorella
,
della
mia
verginità
,
dei
vincoli
coniugali
.
Tutto
hai
sconvolto
:
rivale
di
mia
sorella
io
,
bigamo
tu
:
punirmi
come
nemica
,
questo
si
deve
.
Perché
,
infame
,
non
mi
uccidi
,
così
che
intentato
non
ti
rimanga
alcun
delitto
?
Oh
,
se
l
'
avessi
fatto
prima
di
questo
nefando
accoppiamento
!
immacolata
sarebbe
rimasta
l
'
ombra
mia
!
Ma
se
i
celesti
scorgono
tutto
ciò
,
se
il
loro
potere
conta
qualcosa
,
se
non
tutto
col
mio
onore
è
perduto
,
un
giorno
ne
sconterai
tu
la
pena
.
Gettato
al
vento
il
pudore
,
io
stessa
racconterò
le
tue
gesta
;
se
concesso
mi
sarà
,
andrò
tra
la
gente
;
se
prigioniera
sarò
tenuta
nei
boschi
,
lo
griderò
ai
boschi
e
i
sassi
chiamerò
a
testimoni
.
Il
cielo
udrà
la
mia
voce
e
l
'
udranno
gli
dei
,
se
lì
ve
ne
sono
!
»
.
A
queste
parole
il
feroce
tiranno
è
scosso
dall
'
ira
e
al
tempo
stesso
da
una
paura
che
nulla
ha
da
invidiare
all
'
ira
.
Spinto
dall
'
una
e
l
'
altra
,
sguaina
la
spada
che
porta
al
fianco
,
l
'
afferra
per
i
capelli
,
le
torce
le
braccia
dietro
la
schiena
e
la
costringe
in
ceppi
.
Filomela
protende
la
gola
,
con
la
speranza
,
vista
la
spada
,
d
'
essere
uccisa
;
ma
lui
le
stringe
in
una
morsa
la
lingua
che
impreca
,
che
invoca
senza
posa
il
nome
del
padre
,
che
lotta
per
parlare
,
e
senza
pietà
gliela
mozza
.
Guizza
in
gola
la
radice
della
lingua
,
che
a
terra
in
mezzo
al
sangue
pulsa
rantolando
:
come
si
dibatte
la
coda
recisa
a
un
serpente
,
palpita
moribonda
cercando
le
tracce
della
sua
padrona
.
Persino
dopo
questo
misfatto
pare
,
e
quasi
non
riesco
a
crederlo
,
che
lui
risfogasse
la
sua
lussuria
su
quel
corpo
martoriato
.
Compiute
le
sue
prodezze
,
ha
il
coraggio
di
ripresentarsi
a
Progne
,
che
vedendolo
gli
chiede
della
sorella
.
E
quell
'
ipocrita
scoppia
in
lamenti
,
inventandosi
la
storia
della
sua
morte
e
il
pianto
gli
dà
credito
.
Dalle
spalle
si
strappa
Progne
i
veli
tutti
scintillanti
di
lembi
dorati
,
si
veste
di
nero
,
erige
una
pietra
sepolcrale
,
offre
sacrifici
funebri
a
un
'
ombra
inesistente
e
piange
,
non
per
ciò
che
si
dovrebbe
,
la
sorte
della
sorella
.
Dodici
costellazioni
aveva
percorso
il
sole
,
un
anno
intero
.
E
Filomela
?
Guardie
armate
le
impediscono
la
fuga
;
intorno
alla
prigione
si
erge
un
muro
di
macigni
invalicabile
;
muta
com
'
è
non
può
svelare
il
crimine
.
Ma
del
dolore
immense
sono
le
risorse
e
nella
sventura
,
lì
,
s
'
acuisce
l
'
ingegno
.
Con
un
accorgimento
allaccia
un
ordito
a
un
telaio
primitivo
e
sulla
tela
bianca
ricama
a
caratteri
di
fuoco
l
'
accusa
di
stupro
.
Terminato
il
lavoro
l
'
affida
a
una
donna
,
pregandola
a
gesti
di
portarlo
alla
regina
,
e
la
donna
lo
consegna
a
Progne
,
senza
sapere
cosa
cela
ciò
che
porta
.
La
consorte
del
feroce
tiranno
srotola
la
tela
,
legge
le
tragiche
vicissitudini
della
sorella
e
,
come
possa
è
un
mistero
,
non
fiata
:
il
dolore
l
'
ammutolisce
,
la
lingua
cerca
parole
che
esprimano
tutto
il
suo
sdegno
,
ma
non
le
trova
;
non
piange
neppure
;
pronta
a
violare
ogni
legge
,
corre
alla
propria
rovina
col
solo
pensiero
della
vendetta
.
Era
il
tempo
in
cui
ogni
tre
anni
le
donne
di
Sitonia
celebrano
le
feste
di
Bacco
.
La
notte
è
complice
dei
riti
.
Di
notte
il
Ròdope
risuona
del
tintinnare
acuto
dei
bronzi
;
e
quella
notte
la
regina
esce
di
casa
,
acconciata
come
per
partecipare
all
'
orgia
,
con
tutto
il
corredo
del
culto
:
capo
coperto
di
tralci
,
una
pelle
di
cervo
che
pende
sul
fianco
sinistro
,
un
'
asta
leggera
appoggiata
alla
spalla
.
Irrompendo nei boschi con lo stuolo delle sue compagne , Progne , terribile , sconvolta dalla furia del dolore , si finge , Bacco , una tua devota . E arriva a quel casale sperduto ; qui con grida inumane , invasata , abbatte la porta , rapisce la sorella rivestendola coi simboli delle Baccanti , le nasconde il viso con viticci d ' edera e , trascinandola via sbigottita , la porta nel suo palazzo . Quando s ' accorge d ' essere entrata nella casa di quell ' infame , la povera Filomela rabbrividisce e tutta sbianca in volto . Trovato il luogo adatto , Progne toglie all ' infelice i simboli del culto , le scopre il viso rosso di vergogna e la stringe a sé in un abbraccio . Ma lei , sentendosi in colpa verso la sorella , non osa alzare gli occhi a sostenere quello sguardo , e col volto fisso a terra vorrebbe giurare , chiamando a testimoni gli dei , che quel disonore a viva forza le è stato inflitto e usa i gesti come voce . Non potendo contenere l ' ira che l ' arde , Progne rimprovera la sorella perché piange : «No , non servono lacrime , » le dice , «ma un ferro o , se trovi qualcosa che possa vincere il ferro , quello ! Io sono pronta , sorella mia , a qualsiasi delitto . Ecco , o incendierò con le torce questa reggia e getterò tra le fiamme quello spergiuro di Tereo o gli strapperò con un ferro la lingua , gli occhi e quel membro che t ' ha sottratto l ' onore , o con mille e mille ferite sputare gli farò quell ' anima criminale . Ad ogni atrocità son pronta ; quale , ancora non so» . E mentre termina di parlare , le viene incontro Iti : la presenza del figliolo le ricorda il potere che possiede e , guardandolo con occhio duro , esclama : «Ah , quanto assomigli a tuo padre ! » . Non aggiunge altro e , ribollendo d ' ira in cuore , medita il suo atroce delitto . Vero è che quando il figliolo s ' avvicina , la saluta gettandole al collo le sue piccole braccia , e blandendola con le sue moine la riempie di baci , la madre si commuove , e per un attimo la collera si smorza , intridendole gli occhi di lacrime a stento trattenute . Ma come sente che per troppo affetto il suo cuore di madre comincia a vacillare , da lui stacca gli occhi , torna a volgerli sulla sorella e , osservandoli entrambi a vicenda , così ragiona : «Perché Iti mi blandisce e lei con la lingua mozza non può farlo ? Se lui mi chiama madre , perché lei non mi chiama sorella ? Non vedi , figlia di Pandìone , a chi ti sei unita ? Tu sragioni : un delitto è la pietà con uomini come Tereo ! » . Senza indugio Progne trascina Iti con sé , come nelle tenebre del bosco trascina la tigre del Gange un cerbiatto appena nato , e quando arrivano in una parte remota dell ' immensa reggia , mentre lui , intuendo la propria sorte , tende le mani e nel tentativo di aggrapparsi al suo collo " Mamma ! " grida .
" Mamma ! " , lo colpisce con la spada tra il fianco e il petto , senza distogliere gli occhi . Per ucciderlo sarebbe bastata quell ' unica ferita : no , Filomela gli recide la gola . Palpitanti , quelle membra , che serbano ancora un soffio di vita , son fatte a pezzi ; una parte è messa a bollire in pentole di bronzo , il resto stride sugli spiedi . Tutta la stanza è invasa dal sangue .
Dopo avere allontanato convitati e servitù col pretesto di un rito al quale nella sua patria solo il marito può assistere , queste vivande Progne imbandisce a Tereo che nulla sospetta . Assiso con alterigia sul trono degli avi , Tereo banchetta , trangugiando la carne della sua carne , e la sua mente tanto è ottenebrata che ordina : «Fate venire Iti» . Progne non riesce più a dissimulare la sua crudele esultanza e smaniosa di annunciargli lei stessa lo scempio compiuto : «Quello che chiedi l’hai dentro ! » prorompe . Lui si guarda intorno e chiede dove : mentre chiede e senza posa lo chiama , lo chiama , ecco che Filomela , così com’è , coi capelli scarmigliati dal furore del massacro , irrompe e gli scaglia in faccia la testa insanguinata del figlio . Mai come allora lei vorrebbe poter parlare per gridargli la sua gioia nel modo che merita . Con un urlo inumano il re di Tracia rovescia la tavola ed evoca dal fondo dello Stige le Furie cinte di vipere ; ora vorrebbe squarciarsi il ventre per vomitare , se potesse , quel cibo orrendo e le viscere che ha ingoiato ; ora piange definendo sé stesso sepolcro abbietto del figlio ; ora con la spada sguainata insegue le figlie di Pandìone . Ma i corpi delle due donne sembrano alzarsi in volo : si alzano in volo . Una si dirige verso il bosco ; l’altra s’infila sotto il tetto , e dal suo petto scomparse non sono oggi ancora le tracce della strage : macchia il sangue le sue piume .
Irrompendo nei boschi con lo stuolo delle sue compagne , Progne , terribile , sconvolta dalla furia del dolore , si finge , Bacco , una tua devota . E arriva a quel casale sperduto ; qui con grida inumane , invasata , abbatte la porta , rapisce la sorella rivestendola coi simboli delle Baccanti , le nasconde il viso con viticci d ' edera e , trascinandola via sbigottita , la porta nel suo palazzo . Quando s ' accorge d ' essere entrata nella casa di quell ' infame , la povera Filomela rabbrividisce e tutta sbianca in volto . Trovato il luogo adatto , Progne toglie all ' infelice i simboli del culto , le scopre il viso rosso di vergogna e la stringe a sé in un abbraccio . Ma lei , sentendosi in colpa verso la sorella , non osa alzare gli occhi a sostenere quello sguardo , e col volto fisso a terra vorrebbe giurare , chiamando a testimoni gli dei , che quel disonore a viva forza le è stato inflitto e usa i gesti come voce . Non potendo contenere l ' ira che l ' arde , Progne rimprovera la sorella perché piange : «No , non servono lacrime , » le dice , «ma un ferro o , se trovi qualcosa che possa vincere il ferro , quello ! Io sono pronta , sorella mia , a qualsiasi delitto . Ecco , o incendierò con le torce questa reggia e getterò tra le fiamme quello spergiuro di Tereo o gli strapperò con un ferro la lingua , gli occhi e quel membro che t ' ha sottratto l ' onore , o con mille e mille ferite sputare gli farò quell ' anima criminale . Ad ogni atrocità son pronta ; quale , ancora non so» . E mentre termina di parlare , le viene incontro Iti : la presenza del figliolo le ricorda il potere che possiede e , guardandolo con occhio duro , esclama : «Ah , quanto assomigli a tuo padre ! » . Non aggiunge altro e , ribollendo d ' ira in cuore , medita il suo atroce delitto . Vero è che quando il figliolo s ' avvicina , la saluta gettandole al collo le sue piccole braccia , e blandendola con le sue moine la riempie di baci , la madre si commuove , e per un attimo la collera si smorza , intridendole gli occhi di lacrime a stento trattenute . Ma come sente che per troppo affetto il suo cuore di madre comincia a vacillare , da lui stacca gli occhi , torna a volgerli sulla sorella e , osservandoli entrambi a vicenda , così ragiona : «Perché Iti mi blandisce e lei con la lingua mozza non può farlo ? Se lui mi chiama madre , perché lei non mi chiama sorella ? Non vedi , figlia di Pandìone , a chi ti sei unita ? Tu sragioni : un delitto è la pietà con uomini come Tereo ! » . Senza indugio Progne trascina Iti con sé , come nelle tenebre del bosco trascina la tigre del Gange un cerbiatto appena nato , e quando arrivano in una parte remota dell ' immensa reggia , mentre lui , intuendo la propria sorte , tende le mani e nel tentativo di aggrapparsi al suo collo " Mamma ! " grida .
" Mamma ! " , lo colpisce con la spada tra il fianco e il petto , senza distogliere gli occhi . Per ucciderlo sarebbe bastata quell ' unica ferita : no , Filomela gli recide la gola . Palpitanti , quelle membra , che serbano ancora un soffio di vita , son fatte a pezzi ; una parte è messa a bollire in pentole di bronzo , il resto stride sugli spiedi . Tutta la stanza è invasa dal sangue .
Dopo avere allontanato convitati e servitù col pretesto di un rito al quale nella sua patria solo il marito può assistere , queste vivande Progne imbandisce a Tereo che nulla sospetta . Assiso con alterigia sul trono degli avi , Tereo banchetta , trangugiando la carne della sua carne , e la sua mente tanto è ottenebrata che ordina : «Fate venire Iti» . Progne non riesce più a dissimulare la sua crudele esultanza e smaniosa di annunciargli lei stessa lo scempio compiuto : «Quello che chiedi l’hai dentro ! » prorompe . Lui si guarda intorno e chiede dove : mentre chiede e senza posa lo chiama , lo chiama , ecco che Filomela , così com’è , coi capelli scarmigliati dal furore del massacro , irrompe e gli scaglia in faccia la testa insanguinata del figlio . Mai come allora lei vorrebbe poter parlare per gridargli la sua gioia nel modo che merita . Con un urlo inumano il re di Tracia rovescia la tavola ed evoca dal fondo dello Stige le Furie cinte di vipere ; ora vorrebbe squarciarsi il ventre per vomitare , se potesse , quel cibo orrendo e le viscere che ha ingoiato ; ora piange definendo sé stesso sepolcro abbietto del figlio ; ora con la spada sguainata insegue le figlie di Pandìone . Ma i corpi delle due donne sembrano alzarsi in volo : si alzano in volo . Una si dirige verso il bosco ; l’altra s’infila sotto il tetto , e dal suo petto scomparse non sono oggi ancora le tracce della strage : macchia il sangue le sue piume .