cristiana caserta / latino

università di Palermo

Orazio

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Cicerone, in Catilinam 13-14

cristiana caserta / latino
  • Created on 2018-09-17 18:27:23
  • Modified on 2019-06-10 19:06:20
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In Catilinam, I

cristiana caserta / latino
  • Created on 2018-10-26 11:58:33
  • Modified on 2019-06-10 19:06:40
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[ 1 ] Quo usque tandem abutere , Catilina , patientia nostra ? quam diu etiam furor iste tuus nos eludet ? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia ? Nihilne te nocturnum praesidium Palati , nihil urbis uigiliae , nihil timor populi , nihil concursus bonorum omnium , nihil hic munitissimus habendi senatus locus , nihil horum ora uoltusque mouerunt ? Patere tua consilia non sentis , constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non uides ? Quid proxima , quid superiore nocte egeris , ubi fueris , quos conuocaueris , quid consili ceperis quem nostrum ignorare arbitraris ? [ 2 ] O tempora , o mores ! Senatus haec intellegit , consul uidet ; hic tamen uiuit . Viuit ? Immo uero etiam in senatum uenit , fit publici consili particeps , notat et designat oculis ad caedem unum quemque nostrum . Nos autem fortes uiri satis facere rei publicae uidemur , si istius furorem ac tela uitamus . Ad mortem te , Catilina , duci iussu consulis iam pridem oportebat , in te conferri pestem quam tu in nos omnis iam diu machinaris . [ 3 ] An uero uir amplissimus , P . Scipio , pontifex maximus , Ti . Gracchum mediocriter labefactantem statum rei publicae priuatus interfecit : Catilinam orbem terrae caede atque incendiis uastare cupientem nos consules perferemus ? Nam illa nimis antiqua praetereo , quod C . Seruilius Ahala Sp . Maelium nouis rebus studentem manu sua occidit . Fuit , fuit ista quondam in hac re publica uirtus ut uiri fortes acrioribus suppliciis ciuem perniciosum quam acerbissimum hostem coercerent . Habemus senatus consultum in te , Catilina , uehemens et graue , non deest rei publicae consilium neque auctoritas huius ordinis : nos , nos , dico aperte , consules desumus .
Fino a che punto , Catilina abuserai della nostra pazienza ? Quanto a lungo questa tua follia si prenderà gioco di noi ? Fino a che limite si spingerà la tua sfrenata temerarietà ? Non ti hanno intimorito il presidio notturno sul Palatino ? Non le sentinelle della città ? Non la paura della popolazione ? Non la concordia di tutti i buoni ? Non questo luogo protettissimo per riunire il senato ? Non i volti e le facce di costoro ? Non senti che i tuoi piani sono stati svelati ? Non vedi che la tua congiura è ormati immobilizzata dalla consapevolezza di tutti costoro ? Che cosa tu abbia fatto la notte scorsa e la precedente , dove tu sia stato , chi tu abbia convocato , quale decisione tu abbia preso , chi di noi pensi che lo ignori ? O tempi ! O che costumi ! Il senato capisce questo , il console vede , e costui tuttavia vive . Vive ? Anzi addirittura viene in senato , si fa partecipe delle pubbliche deliberazioni , marchia e destina con lo sguardo all’uccisione ciascuno di noi . Mentre a noi , uomini coraggiosi , sembra di fare abbastanza per lo stato , evitando la pazzia e i dardi di costui . A morte sarebbe stato necessario che tu , o Catilina , fossi condannato già da tempo per ordine del console , che contro di te si rivolgesse quella rovina che tu ormai da lungo tempo vai tramano contro noi tutti . Se dunque un uomo eminentissimo come Publio Scipione pontefice massimo , benché privato cittadino , provocò la morte di Tiberio Gracco , che ben poco faceva vacillare la stabilità dello Stato , noi consoli dovremmo sopportare Catilina che brama di devastare con stragi e incendi il mondo intero ? Tralascio infatti quegli episodi troppo antichi come il fatto che Gaio Servilio Ahala uccise di mano Spurio Melio che aspirava a rivolgimenti politici . CI fu , ci fu una volta in questo Stato un valore tale per cui gli uomini coraggiosi punivano il cittadino pericoloso con supplizi più atroci di quelli con cui punivano il peggiore nemico dello Stato . Abbiamo contro di te Catilina , un decreto del Senato energico e severo ; allo Stato non manca il consiglio l’autorità di quest’ordine ; noi , noi consoli , lo dico apertamente , stiamo venendo meno al nostro dovere .

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Properzio, ELegie, I 1

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  • Created on 2019-02-28 18:21:01
  • Modified on 2019-06-10 19:09:06
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http://www.poesialatina.it/_ns/Testi/Propert/Eleg1.htm
https://professoressaorru.files.wordpress.com/2016/04/properzio-antologia.pdf
1 Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis ,
contactum nullis ante Cupidinibus .
Tum mihi constantis deiecit lumina fastus
et caput impositis pressit Amor pedibus ,
5 donec me docuit castas odisse puellas
improbus , et nullo vivere consilio .
Et mihi iam toto furor hic non deficit anno ,
cum tamen adversos cogor habere deos .
Milanion nullos fugiendo , Tulle , labores
10 saevitiam durae contudit Iasidos .
Nam modo Partheniis amens errabat in antris ,
ibat et hirsutas ille videre feras ;
ille etiam Hylaei percussus vulnere rami
saucius Arcadiis rupibus ingemuit .
15 Ergo velocem potuit domuisse puellam :
tantum in amore preces et bene facta valent .
In me tardus Amor non ullas cogitat artis ,
nec meminit notas , ut prius , ire vias .
At vos , deductae quibus est fallacia lunae
20 et labor in magicis sacra piare focis ,
en agedum dominae mentem convertite nostrae ,
et facite illa meo palleat ore magis !
tunc ego crediderim vobis et sidera et amnis
posse cythalinis ducere carminibus .
25 Aut vos , qui sero lapsum revocatis , amici ,
quaerite non sani pectoris auxilia .
Fortiter et ferrum saevos patiemur et ignis ,
sit modo libertas quae velit ira loqui .
Ferte per extremas gentis et ferte per undas ,
30 qua non ulla meum femina norit iter :
vos remanete , quibus facili deus annuit aure ,
sitis et in tuto semper amore pares .
In me nostra Venus noctes exercet amaras
et nullo vacuus tempore defit Amor .
35 Hoc , moneo , vitate malum : sua quemque moretur
cura , neque assueto mutet amore locum .
Quod si quis monitis tardas adverterit auris ,
heu referet quanto verba dolore mea !
Cinzia per prima coi suoi begli occhi mi prese , sventurato , non mai prima colpito da alcuna passione . Allora mi costrinse ad abbassare lo sguardo altezzoso Amore , e mi pose i piedi sul capo , calcando , finché m ' insegnò , crudele , a odiare le fanciulle caste , e a condurre una vita insensata . E questa follia non mi lascia ormai da un anno intero , pur essendo costretto ad avere avversi gli dèi . Milanione , o Tullo , non rifuggendo da alcuna fatica , spezzò la crudeltà della dura figlia di Iaso . Ora infatti vagava , fuori di , nelle forre del Partenio , e sosteneva la vista delle fiere irsute ; percosso anche dal colpo della clava d ' Ileo , ferito gemette fra le rupi d ' Arcadia . Così riuscì a domare la veloce fanciulla : tanto valgono in amore le preghiere e le azioni virtuose . Per me invece Amore , inerte , non escogita alcun accorgimento sa ritrovare , come prima , le note vie . Ma voi , che conoscete il trucco per tirar giù dal cielo la luna , e vi adoprate a far riti espiatori sui magici fuochi , suvvia ! mutate l ' animo della mia padrona , e fate che più di me impallidisca d ' amore ! Solo allora potrei credere che voi sapete deviare gli astri e i fiumi con le formule di Medea . O voi piuttosto , amici , che tardi risollevate chi è caduto , cercate rimedi per il mio cuore malato ! Con coraggio sopporterò il ferro e il fuoco crudele , purché io sia libero di dire apertamente il mio sdegno . Portatemi fra genti remote , portatemi sulle onde , dove nessuna donna conosca il mio cammino ; restate qui voi , che il dio benevolmente ascolta , e siate sempre concordi in un amore sicuro . Me invece la mia Venere tormenta con notti amare , e Amore mai mi tregua , neppure per un istante . Evitate ( vi avverto ) questo male ! Ciascuno sia fedele alla propria passione e non si allontani dall ' amore consueto . Ché se qualcuno tardi presterà orecchio ai miei avvertimenti , ahi , con quanto dolore rammenterà le mie parole !

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Ovidio, Met. IV 740-753

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  • Created on 2019-03-17 10:09:26
  • Modified on 2019-06-10 19:09:24
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Livio T. Livius, Ab urbe condita, IX,3,4-4,5

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  • Created on 2019-05-03 10:39:09
  • Modified on 2019-06-10 19:07:24
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Neppure , i Sanniti , pur in così fortunata circostanza , sapevano che cosa convenisse fare , perciò deliberarono concordemente di mandare un messaggio ad Erennio Ponzio , padre del comandante supremo , per avere consiglio . Questi , in età già avanzata , si era già ritirato non solo dall’attività militare , ma anche dalla vita politica ; tuttavia nel corpo malfermo era ancor vivo il vigore dell’animo e dell’ingegno . Quando apprese che gli eserciti romani erano stati rinchiusi alle Forche Caudine fra le due gole , richiesto di un consiglio dal messaggero del figlio , propose di lasciarli andare tutti senza danno al più presto . Essendo stato respinto questo consiglio , ed essendo stato rimandato un’altra volta lo stesso messaggero a consultarlo , propose di ucciderli tutti fino all’ultimo . Al ricevere questi responsi così contrastanti fra di loro , quasi usciti da un ambiguo oracolo , il figlio , per quanto lui stesso per primo pensasse che ormai anche la mente del padre si era indebolita nel corpo malfermo , tuttavia si lasciò indurre dalle generali insistenze a chiamarlo perché venisse di persona nel consiglio . Si narra che il vecchio non abbia fatto difficoltà a farsi trasportare su di un carro al campo , e che introdotto in consiglio abbia parlato all’incirca in questo modo , nulla mutando della sua opinione , ma solo chiarendone i motivi : seguendo il primo consiglio , che egli riteneva il migliore , per mezzo di un grande beneficio si sarebbe assicurata un’eterna pace e amicizia con un popolo potentissimo ; col secondo consiglio si sarebbe evitata la guerra per molti anni , poiché dopo la perdita di questi due eserciti lo stato romano non avrebbe potuto facilmente riprendere l’antica forza ; una terza soluzione non vi era .

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Virgilio, prima Bucolica

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  • Created on 2023-12-22 10:45:08
  • Modified on 2023-12-22 11:35:53
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Ἑλληνική Transliterate
http://www.poesialatina.it/_ns/Testi/Vergil/Buc01.htm
https://classicamente-dora.blogspot.com/2018/02/virgilio-bucolica-i-traduzione.html
MELIBOEUS .

Tityre , tu patulae recubans sub tegmine fagi
silvestrem tenui musam meditaris avena ;
nos patriae finis et dulcia linquimus arva ;
nos patriam fugimus ; tu , Tityre , lentus in umbra ,
5 formosam resonare doces Amaryllida silvas .

TITYRUS .
O Meliboee , deus nobis haec otia fecit :
namque erit ille mihi semper deus ; illius aram
saepe tener nostris ab ovilibus imbuet agnus .
Ille meas errare boves , ut cernis , et ipsum
10 ludere quae vellem calamo permisit agresti .

ME . Non equidem invideo , miror magis : undique totis
usque adeo turbatur agris ! En ipse capellas
protinus aeger ago ; hanc etiam vix , Tityre , duco :
hic inter densas corylos modo namque gemellos ,
15 spem gregis , a , silice in nuda conixa reliquit .
Saepe malum hoc nobis , si mens non laeva fuisset ,
de caelo tactas memini praedicere quercus .
Sed tamen iste deus qui sit , da , Tityre , nobis .
TI . Urbem quam dicunt Romam , Meliboee , putavi
20 stultus ego huic nostrae similem , quo saepe solemus
pastores ovium teneros depellere fetus .
Sic canibus catulos similis , sic matribus haedos
noram , sic parvis componere magna solebam .
Verum haec tantum alias inter caput extulit urbes
25 quantum lenta solent inter viburna cupressi .
ME . Et quae tanta fuit Romam tibi causa videndi ?
TI . Libertas , quae sera tamen respexit inertem ,
candidior postquam tondenti barba cadebat ;
respexit tamen , et longo post tempore venit ,
30 postquam nos Amaryllis habet , Galatea reliquit .
Namque , fatebor enim , dum me Galatea tenebat ,
nec spes libertatis erat , nec cura peculi .
Quamvis multa meis exiret victima saeptis ,
pinguis et ingratae premeretur caseus urbi ,
35 non umquam gravis aere domum mihi dextra redibat .
ME . Mirabar quid maesta deos , Amarylli , vocares ,
cui pendere sua patereris in arbore poma :
Tityrus hinc aberat . Ipsae te , Tityre , pinus ,
ipsi te fontes , ipsa haec arbusta vocabant .
40 TI . Quid facerem ? Neque servitio me exire licebat ,
nec tam praesentis alibi cognoscere divos .
Hic illum vidi iuvenem , Meliboee , quotannis
bis senos cui nostra dies altaria fumant .
Hic mihi responsum primus dedit ille petenti :
45 " Pascite , ut ante , boves , pueri ; submittite tauros . "
ME . Fortunate senex , ergo tua rura manebunt !
Et tibi magna satis , quamvis lapis omnia nudus
limosoque palus obducat pascua iunco ;
non insueta gravis temptabunt pabula fetas ,
50 nec mala vicini pecoris contagia laedent .
Fortunate senex , hic inter flumina nota
et fontis sacros frigus captabis opacum .
Hinc tibi , quae semper , vicino ab limite saepes
Hyblaeis apibus florem depasta salicti
55 saepe levi somnum suadebit inire susurro ;
hinc alta sub rupe canet frondator ad auras ;
nec tamen interea raucae , tua cura , palumbes ,
nec gemere aeria cessabit turtur ab ulmo .
TI . Ante leves ergo pascentur in aethere cervi ,
60 et freta destituent nudos in litore piscis ,
ante pererratis amborum finibus exsul
aut Ararim Parthus bibet aut Germania Tigrim ,
quam nostro illius labatur pectore voltus .
ME . At nos hinc alii sitientis ibimus Afros ,
65 pars Scythiam et rapidum cretae veniemus Oaxen
et penitus toto divisos orbe Britannos .
En umquam patrios longo post tempore finis ,
pauperis et tuguri congestum caespite culmen ,
post aliquot , mea regna videns , mirabor aristas ?
70 Impius haec tam culta novalia miles habebit ?
Barbarus has segetes ? En quo discordia civis
produxit miseros ! His nos consevimus agros !
Insere nunc , Meliboee , piros , pone ordine vitis !
Ite meae , felix quondam pecus , ite , capellae :
75 non ego vos posthac , viridi proiectus in antro ,
dumosa pendere procul de rupe videbo ;
carmina nulla canam ; non me pascente , capellae ,
florentem cytisum et salices carpetis amaras .
TI . Hic tamen hanc mecum poteras requiescere noctem
80 fronde super viridi . Sunt nobis mitia poma ,
castaneae molles et pressi copia lactis ;
et iam summa procul villarum culmina fumant ,
maioresque cadunt altis de montibus umbrae .
Meliboeus
Titiro , tu stando sdraiato sotto l’ombra di un ampio faggio , componi un canto silvestre sul flauto sottile ; noi abbandoniamo i territori / confini della patria e i dolci campi . Noi fuggiamo dalla patria ; tu , Titiro , rilassato nell’ombra insegni ai boschi a risuonare della bella Amarillide .
Tityrus
O Melibeo , un dio fece per noi questa tranquillità . E infatti egli sarà sempre per me un dio , spesso un tenero agnello [ preso ] dai nostri ovili bagnerà il suo altare . Egli permise alle mie bestie , come vedi , di andare qua e e a me di suonare quello che volessi sul flauto agreste .
Meliboeus
Certamente non ti invidio , piuttosto mi meraviglio ; dovunque da ogni parte in tutti i campi c’è scompiglio . Ecco io stesso triste spingo avanti le caprette ; anche questa a stento , Titiro , conduco . Qui tra i fitti noccioli infatti poco fa ha lasciato dopo grandi sforzi due gemelli , speranza del gregge ah ! , sulla nuda pietra . Ricordo che spesso questo male , se la mente non fosse stata sciocca , a noi lo predicevano le querce toccate dal cielo . Ma tuttavia chi sia questo dio , o Titiro , di’ a noi .
Tityrus
La città che chiamano Roma , Melibeo , io sciocco la considerai simile a questa nostra , alla quale spesso noi pastori siamo soliti spingere i teneri parti delle pecore . Così conoscevo i cagnolini simili ai cani , così i capretti alle madri , così ero solito paragonare le cose grandi alle piccole . Ma questa ha sollevato il capo tanto tra le altre città quanto sono soliti [ fare ] i cipressi tra i flessibili viburni .
Meliboeus
E quale fu il motivo così importante per vedere Roma per te ?
Tityrus
La libertà che tardi tuttavia rivolse lo sguardo verso me che me ne stavo inattivo , dopo che la barba a me che la tagliavo cadeva piuttosto bianca , tuttavia volse lo sguardo e dopo molto tempo venne , dopo che ci ha Amarillide , Galatea ci lasciò . E infatti , lo confesserò infatti , fino a che mi teneva Galatea , non c’era speranza di libertà preoccupazione per il patrimonio . Sebbene molte vittime uscissero dai miei recinti e il grasso formaggio venisse pressato per la città ingrata , mai la destra mi tornava a casa pesante di denaro .
Meliboeus
Mi chiedevo con meraviglia perché , Amarillide , invocassi triste gli dei , per chi permettessi che sull’albero restassero appesi i suoi frutti ; Titiro era lontano da qui . Gli stessi pini , le stesse sorgenti , questi stessi arbusti , Titiro , ti chiamavano .
Tityrus
Cosa avrei dovuto fare ? Non mi era possibile uscire dalla schiavitù conoscere altrove divinità così propizie . Qui vidi quel giovane per il quale , Melibeo , ogni anno i nostri altari fumano per 12 giorni ( lett . per due volte sei giorni ) . Costui per primo diede una risposta a me che la chiedevo : " Portate al pascolo , come prima , garzoni , i buoi ; allevate i tori " .
Meliboeus
Vecchio fortunato , dunque i campi resteranno tuoi e per te saranno grandi abbastanza , sebbene la nuda pietra e la palude con il giunco limaccioso ricoprano ogni pascolo . Non pascoli sconosciuti tenteranno le bestie gravide le danneggeranno i cattivi contagi del gregge vicino . Vecchio fortunato , qui tra i fiumi noti e le sacre fonti prenderai il fresco ombroso ; da qui la siepe mangiata nel fiore del salice dalle api Iblee dal confine vicino , come sempre , spesso ti spingerà ad addormentarti con il leggero ronzio ; da qui sotto l’alta rupe il potatore canterà all’aria , tuttavia nel frattempo le roche colombe , tua preoccupazione , la tortora cesseranno di lamentarsi dall’alto olmo .
Tityrus
Dunque i cervi leggeri pascoleranno nel cielo e le onde restituiranno i pesci nudi sulla spiaggia , scambiatisi i territori di entrambi l’esule Parto berrà l’Arar e il Germano ( lett . la Germania ) il Tigri , prima che il suo volto sia cancellato dal nostro cuore .
Meliboeus
Ma noi andremo alcuni dagli Africani assetati , una parte giungeremo in Scizia e all’Oasse che trasporta impetuoso il fango , e ai Britanni completamente separati da tutto il mondo . Ecco dopo molto tempo ( En post longo tempore ) , contemplerò stupito ( videns mirabor ) mai ( unquam ) i territori paterni ( finis patrios ) e il tetto ( culmen ) della povera capanna ( pauperis tuguri ) fatto di zolle ( congestum caespite ) e dietro quel po’ di spighe ( post aliquot aristas ) , il mio regno ( mea regna ) ? Un empio soldato avrà questi campi coltivati , un barbaro queste messi . Ecco a cosa la discordia ha portato gli infelici cittadini ; per costoro noi abbiamo seminato i campi ! Innesta , ora , Melibeo , i peri , metti in ordine le viti ! Andate un tempo gregge felice , andate mie caprette . Io d’ora in poi non vi vedrò da lontano arrampicate ad una rupe fitta di cespugli ; non canterò nessun canto ; sotto la mia guida di pastore ( me pascente ) non brucherete , caprette , il fiorente citiso e il salice amaro .
Tityrus
Tuttavia avresti potuto riposarti qui con me questa notte sopra una verde fronda : abbiamo frutti maturi , tenere castagne e abbondanza di latte pressato . E ormai da lontano i tetti ( summa culmina ) delle fattorie fumano e più lunghe cadono le ombre dagli alti mont

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Virgilio, Eneide, Proemio

cristiana caserta / latino
  • Created on 2024-01-23 08:21:47
  • Modified on 2024-01-23 08:45:44
  • Translated by G. Frappa
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Il diritto dei vinti (Livio)

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